Invito dall’ASICS Institute of Sport Science: ti interessa?

L’email che ha arricchito di aspettativa il mio viaggio in Giappone per la Maratona di Tokyo è arrivata proprio con l’incipit di questo blog, in un pomeriggio ai primi di Febbraio.

Come sempre prima di spegnere il computer, quel giorno ho fatto un ultimo controllo (un pò distratto, a dire il vero) della posta in arrivo e quando ho visto il messaggio con questo invito ho letteralmente sgranato gli occhi. Ricordo di aver scosso la testa e chiuso la pagina web, per poi aprirla nuovamente poco dopo. Tutto vero, di nuovo!

L’ASICS Institute of Sport Science (ISS) di Kobe è l’Headquarter di ASICS, il luogo in cui si studiano, realizzano e provano tutte le innovazioni che l’Azienda propone sul mercato, un vero e proprio “tempio” della scienza applicata allo sport. Il team dell’ISS ha invitato gli ASICS FrontRunner partecipanti alla Maratona di Tokyo per un giornata di test in sede. “Ti interessa?” Altrochè!

Siamo stati suddivisi in due gruppi: il primo si è recato a Kobe il giorno successivo alla maratona, il secondo (di cui ho fatto parte anch’io) due giorni dopo la gara - giusto il tempo per dar modo alla gambe di recuperare dalla distanza regina.

Il 7 Marzo mi sono dunque trovata alla stazione di Tokyo con Diana, la FrontRunner portoghese con cui ho condiviso il pranzo del giorno precedente la Maratona. Abbiamo bevuto un caffè sotto il tiepido sole di Marzo, pranzato con una meravigliosa poke e preso lo shinkansen - o bullet train - fino a Kobe. Si chiama bullet train perché è letteralmente un proiettile: un treno con 16 carrozze, lunghissimo e velocissimo - 320km orari durante i quali abbiamo persino sperimentato dei vuoti d’aria spostandoci da una carrozza all’altra per muovere un pò le gambe e bere un altro caffè.

Nel giro di un paio d’ore siamo arrivate a Kobe, e dalla stazione ci siamo spostate in albergo. Dopo una rilassante cena in un meraviglioso izakaya siamo andate a riposarci per essere in forma il giorno dopo. La mattina successiva abbiamo fatto una corsa di qualche km vicino all’hotel e dopo una buona colazione ci ha raggiunte Piotr (FrontRunner polacco).

Alle 9:00 precise è arrivato il van ASICS, per portarci all’ISS. Il nostro accompagnatore per tutta la giornata è stato Masa, un ingegnere dell’ISS. Non so dire se fossi più agitata o emozionata: agitata perché sapevo che saremmo stati oggetto di svariati test nel tempio dello sport, emozionata proprio per l’opportunità di vivere un’esperienza così pazzesca. Il sorriso e la cordialità di Masa durante il breve tragitto fino alla sede hanno mitigato l’agitazione e fatto crescere ancora di più (se possibile) l’emozione per la giornata.

Varcando la soglia dell’ISS le rilassanti chiacchiere con Diana, Piotr e Masa sono cessate per qualche secondo. L’ingresso con le due colonne a sorreggere il lanciatore del giavellotto ed il lanciatore del disco crea una sorta di filtro con l’esterno ed il vialetto in cemento che porta alla palazzina principale circondata da una piccola pista in tartan sembra il tappeto rosso della notte degli Oscar. Si percepisce a pelle che all’ISS si fa sul serio.

Masa ci ha accompagnati all’interno e ci ha fatto fare una breve visita, durante la quale siamo passati di fianco ai laboratori alcuni dei quali coi vetri oscurati. Con l’emozione alle stelle, siamo arrivati al centro operativo della giornata: uno spazio enorme con all’interno una piccola pista in tartan, un numero imprecisato di telecamere e macchine fotografiche già in posizione, computer, tavoli lunghissimi con materiale per i test, alcune salette contigue ed un campo da tennis esterno. Sono rimasta letteralmente senza parole, provando un misto di orgoglio ed imbarazzo per essere proprio io, una comune podista italiana amatoriale, ad avere un’opportunità così grande.

Abbiamo trovato il programma della giornata appeso ad una lavagna, un precisissimo puzzle di attività che Masa ci ha spiegato in pochi minuti. Io, Diana e Piotr siamo stati presi in carico da un gruppo di lavoro a testa, ci siamo preparati ed abbiamo lavorato in contemporanea fino al primo pomeriggio su vari aspetti: una valutazione dell’apparel, misurazioni antropometriche, motion Capture testing e… qualcosa di top secret (che resterà tale e tutti noi abbiamo scoperto sul momento). Masa ci ha spiegato che all’ISS la stragrande maggioranza dei test sono eseguiti su una popolazione atletica asiatica: dunque, avere la possibilità di eseguire i test su una popolazione atletica costituita da etnie diverse è stata un’opzione importantissima per il loro lavoro.

Il primo test che ho eseguito è stata una misurazione di composizione corporea. I tecnici dell’ISS non potevano sapere che ho passato anni a fare misurazioni antropometriche sugli atleti per preparare le programmazioni nutrizionali ed iniziare proprio da questo test mi ha incuriosita molto. La misurazione è avvenuta prima con bioimpedenziometria, poi in una camera isolata con una strumentazione particolare per poter comparare i dati.

Successivamente ho eseguito un colloquio ed un’indagine sull’apparel. Come FrontRunner, abbiamo l’opportunità di valutare una vasta gamma di abbigliamento (oltre che le calzature, naturalmente) e di scrivere delle short review sul sito in modo da aiutare il cliente nell’acquisto e soprattutto dare un feedback all’Azienda. Avere la possibilità di discutere dettagli più tecnici e, perché no, stilistici direttamente con gli studiosi dell’ISS ha dato modo di capire meglio la ragione di alcune scelte particolari in termini di materiali, stile, colori e vestibilità.

La terza parte è stata indubbiamente quella più impegnativa fisicamente, oltre che molto emozionante: il Motion capture testing. Sono stati forniti pantaloncini e maglietta, una fascia per la testa e due paia di scarpe (uguali per tutti). Appena mi sono cambiata, un paio di tecnici ha posizionato degli elettrodi su vari punti del corpo (una trentina) e sulle scarpe. Un ingegnere si è posizionato dietro gli schermi dei computer collegati a telecamere e fotocamere ed un altro tecnico si è preparato a dare istruzioni sul passo da tenere e sul tipo di corsa da effettuare. Così è iniziato il test: circa 45 minuti di lavoro e 20-30 prove passando da uno slow-jogging ad un race-running pace su una distanza di circa 50m, il tutto ripreso da telecamere e fotocamere. Lo scopo è stato raccogliere i dati di movimento e quelli relativi alle forze di appoggio al suolo per ognuno di noi, con entrambe le calzature fornite.

L’ultimo test è stata la valutazione baropodometrica (appoggio del piede), eseguita in presenza di un ingegnere esperto in tutto ciò che riguarda superficie di appoggio del piede, terreno ed esecuzione della falcata. L’ingegnere si è informato sulle calzature che uso abitualmente in allenamento e gara e me ne ha fatti indossare diversi modelli, col numero che generalmente utilizzo: il motivo era determinare la correttezza o meno del numero stesso. Promossa! Il valore aggiunto di questo test è stato senza dubbio poter provare vari modelli della stessa calzatura e capire come massimizzare la calzata per trarre il maggior beneficio dalla tecnologia proposta. Inoltre, è anche arrivato un consiglio bonus su quale calzatura potrebbe essere ottimale per la mia dinamica di corsa e per le distanze sulle quali normalmente gareggio.

Terminato anche l’ultimo test, abbiamo fatto assieme una valutazione della giornata durante la quale ci è stata data l’opportunità di analizzare assieme a Nao i dati raccolti durante la Maratona di Tokyo tramite un sensore consegnatoci appositamente per la gara. Tanto è incredibile quanti risultati la tecnologia riesca a farci ottenere, quanto è fondamentale avere una figura di riferimento che sappia interpretarli in modo critico e granulare per massimizzarne l’applicabilità: quindi, grazie di cuore Nao, sei stata preziosa!

La giornata è volata e a metà pomeriggio Masa ci ha accompagnati nuovamente al van, e poi in stazione alla volta dello shinkansen. Qui le nostre strade si sono separate del tutto. Prima ho salutato Masa e Diana, che avevano posti a sedere e destinazione finale diversa dalla mia. Poi ho fatto la prima parte di viaggio con Piotr, che è sceso a Kyoto. Una volta salutato anche Piotr, la stanchezza ed il carico di emozioni hanno avuto il sopravvento e mi sono addormentata fino quasi a Tokyo dove ero diretta per trascorrere ancora qualche giorno.

Di questa esperienza a Kobe resteranno moltissimi ricordi: i test, le micro-lezioni di giapponese fra uno sprint e l’altro, il pranzo assieme, l’efficienza, la cordialità, la competenza, la precisione, la passione, la semplicità, la disponibilità, i sorrisi, le mani giunte e rispettose, il -san dopo il mio nome, la sensazione di essere “parte di qualcosa” di molto grande.

Il più importante è però arigato-sumimasen: il “grazie che si scusa”. Come ha preziosamente descritto Laura Imai Messina, “Grazie e Scusa sono due espressioni che nel Sol Levante si tengono per mano. Donare è rinunciare, farlo bene è non fare intuire all’altro l’eventuale privazione. Il compito di chi riceve, invece, è non dare il ricevuto per scontato: mettendosi nei panni di chi dà, dovrà infatti immaginare che, per quanto elegantemente lo nasconda, quel qualcuno ha effettivamente rinunciato a qualche cosa. […] In questo sta principalmente la bellezza di un grazie che sempre si inchina, in Giappone […] si ringrazia considerando la difficoltà dell’esserci di qualcosa, del ricevere una gentilezza che, per principio, non deve essere mai accolta come ovvia”.

Scritto da
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Elena Araldi

Biologa Nutrizionista da Milano


Club: A.S.D. Pfizer Italia Running Team
Allenatore: Julia Jones

La mia disciplina
Training funzionale Allenamento potenziativo 10 km Mezza Maratona Maratona Fitness
Ultra maratona Ultra trail run

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