Hai presente quella trepidazione che precede l’arrivo di un esito? Come quando fai un esame sul quale hai buone sensazioni, e sai che un certo giorno (ad una certa ora) usciranno i risultati. Poi arriva la risposta… è un semaforo verde, e non ti sembra vero. E allora urli, salti in giro per casa, ti guardi allo specchio e ti dai dei pizzicotti sulle guance per renderti conto che sì, è tutto reale. Questo è proprio ciò che ho vissuto il 26 Maggio 2021 quando David Lenneman, capitano internazionale degli ASICS FrontRunner, in diretta Facebook ha estratto il mio nome dal suo famoso black hat contenente un rappresentante del Team per Paese come partecipante alla Tokyo Marathon. Riesci a sentire l’eco del mio urlo? Sì, vero?
Di fatto, la conferma della partecipazione alla gara arriva molti mesi dopo, nell’Autunno del 2022 complici le restrizioni dovute alla pandemia. Questo è il motivo principale per cui mi sono sempre detta che avrei creduto che la Tokyo Marathon si stesse avverando davvero solo dopo essere salita in aereo, aver toccato il suolo giapponese ed aver ritirato il pettorale. E così ho fatto.
Gli allenamenti per la gara entrano nel vivo circa 16 settimane prima, come da protocollo della mia coach Julia Jones. Parlando con Julia poco prima di iniziare la preparazione specifica, le dissi: “Julia, vorrei che questa Maratona fosse per me ciò che è stata New York: un lasciare sulla strada delle cose, in direzione di una pagina nuova”. Julia, illuminandomi come spesso succede parlando assieme, rispose: “Elena, New York è stata New York. Tokyo sarà Tokyo. Una cosa nuova a prescindere, un’esperienza nuova, una “te” nuova”. Banale? Niente affatto. Pensaci.
Così, abbraccio le 16 settimane di preparazione, un allenamento alla volta, una giornata alla volta, una vicenda di quotidianità alla volta. Prenoto l’albergo e i voli, lasciando le email di conferma delle singole prenotazioni a sedimentare nella posta in arrivo. Vado avanti piano piano, allenamento dopo allenamento, km dopo km (sono stati 732, in totale), rifinitura dopo rifinitura anche da un punto di vista nutrizionale e osteopatico. Affianco il CrossFit due volte a settimana nelle prime 10 settimane di preparazione per dare un ulteriore stimolo muscolare al mio fisico e finalmente arrivo al giorno della partenza, il 2 Marzo 2023.
Il viaggio è lungo ed il fuso orario impietoso: 8 ore in avanti rispetto all’Italia. Così, confrontandomi con un’amica, decido di iniziare ad incamerare un pò di minuti/ore di fuso orario a partire dai giorni precedenti la partenza andando a dormire circa mezz’ora prima ogni giorno. Il giorno della partenza mi sveglio alle 3:00, vado in aeroporto, prendo il primo volo per Abu Dhabi dove incontro un gruppo di amici col quale ci imbarchiamo verso Tokyo, dove arriviamo il giorno successivo circa a mezzogiorno. Giusto il tempo di capire dove siamo, come orientarci, prendere i biglietti di treno e metro per arrivare all’albergo e subito ci dirigiamo all’Expo della gara.
L’impatto con la città è esattamente come lo ricordo: strabiliante. L’Expo è quello di una gara di casa (casa ASICS, appunto) e nonostante la veglia di più di 18 ore la stanchezza si fa sentire pochissimo. L’organizzazione della gara richiede di monitorare tramite un’App i dati di salute (temperatura corporea, stato fisico ecc.) a partire da una settimana prima della manifestazione: dopo aver verificato le misurazioni con chi di dovere, ritiro finalmente il mio pettorale - il 64528. L’emozione di vederlo davvero: allora quando mi davo i pizzicotti sulle guance non sbagliavo - è tutto vero!
Il giorno successivo mi reco al quartier generale ASICS della gara a Shinjuku, dove Mr. Kayano in persona (v. il blog di Niccolò Scelfo per una spiegazione dettagliata) ci mostra come creare la nostra miniature shoe ASICS. Incontro alcuni compagni di squadra stranieri, fra cui Diana (dal Portogallo) con la quale mi recherò all’ASICS Institute of Sport Science di Kobe qualche giorno dopo per alcuni test. Ci scambiamo un saluto, emozioni, adrenalina e… sì, un bel pranzo a base di sushi. Poi rientro in albergo, per il rituale relax pomeridiano pre-maratona. Ceno con il gruppo di amici incontrati ad Abu Dhabi, preparo tutto l’occorrente per la gara (l’abbigliamento, le coperte per stare calda fino alla partenza, gli occhiali da sole, le scarpe - Gel-CumulusTM 25, i gel) e vado a dormire. Il sonno arriva, calmo e ristoratore. Mi sveglio alle 5:00, faccio una colazione improvvisata con pane, burro di arachidi con marmellata e the caldo (consiglio: imparate a gestire le variabili che non potete controllare - ad esempio l’hotel giapponese che non prevede la early breakfast il giorno della gara), mi vesto e vado alla partenza coi miei amici, dai quali mi separo poco dopo per posizionamenti diversi in griglia.

Andando verso la mia postazione incontro un compagno di squadra del Qatar, con cui iniziamo subito a scherzare smorzando la tensione. Fare qualche battuta e ridere è la strategia migliore per richiamare serotonina ed endorfine, depotenziando adrenalina e cortisolo. Arriviamo in griglia e socializziamo subito con altri podisti da Francia, Canada, Stati Uniti, Cina, Giappone. L’attesa di circa 2 ore prima della partenza passa così, velocissima. La gara parte alle 9:10. Alle 8:50 inizia la fibrillazione, gli elicotteri volano bassi e vicini alle due torri del Tokyo Metropolitan Government Building, iniziamo a muoverci lentamente verso la partenza. Alle 9:00 il rumore degli elicotteri si fa più intenso, gli speaker continuano a dare annunci, le gambe non vedono l’ora di partire. Alle 9:10 si sente lo sparo. I taiko (tamburi giapponesi) iniziano a suonare con quel ritmo incalzante che ti fa sentire quasi in trance, sulla partenza vengono lanciati miliardi di piccoli coriandoli bianchi, i volontari tutti vestiti di giallo ti salutano e ti incitano perché sanno che stai per fare un viaggio fantastico. Passi sotto il gonfiabile della partenza, e inizi a correre.
Il tracciato si districa sulle vie cittadine più centrali, toccando solo pochi punti “famosi” in occidente (es. il Santuario di Asakusa all’inizio, il quartiere Ginza alla fine). L’organizzazione è impeccabile, come i volontari ai ristori e lungo il percorso. L’altimetria indicata sul sito suggerisce un inizio in leggera salita, la gara in realtà si rivela un continuo su e giù con tratti rettilinei interminabili durante i quali, sulla carreggiata opposta, gli altri maratoneti possono essere anche 10km avanti: questo per la testa non aiuta, ma si può gestire. So che dall’Italia i miei amici più stretti ed alcuni compagni di team sono svegli o hanno puntato la sveglia per seguirmi: è una dimostrazione di affetto impagabile, per la quale non ringrazierò mai abbastanza, che mi scalda il cuore e mi spinge le gambe nei momenti in cui incontro maggiore difficoltà.
Tengo un ritmo straordinariamente costante. I km passano, incito i maratoneti in difficoltà - la lingua del running è universale, sprono chi completerà con oggi il circuito Abbott World Marathon Majors (New York, Boston, Chicago, Tokyo, Berlino, Londra), saluto i bambini che fanno il tifo, batto le mani al ritmo dei tamburi, sudo, prendo i gel, bevo, corro, corro e corro ancora. Inizio l’ultimo rettilineo, alla fine del quale so cosa mi aspetta: i giardini imperiali, la folla, l’arrivo. Nell’ultimo km metto il turbo: trovo nelle gambe una forza che non pensavo di avere più, dopo 4h di gara. Spingo, spingo tantissimo. Il battito del cuore si alza, il battito dell’anima va alle stelle.
Vedo il traguardo, è vicino. Corro, corro, corro. A una manciata di metri inizio a commuovermi. Perché sono dall’altra parte del mondo, da sola, e so di aver fatto un’impresa. Perché sto correndo da poco più di 4h e ci ho messo l’anima. Per il viaggio che ho fatto in questi mesi e in queste ore. Per chi mi segue da casa, perché so che stanno vedendo il pallino col mio nome che sta tagliando il traguardo. Mi commuovo per l’emozione di essere qui, in un Paese che ho amato da sempre (anche prima di visitarlo). Per le epifanie che ho avuto sul percorso, fra cui quella più importante - io sono abbastanza: tutto quel “di più, di più, di più” che ho intrapreso in questi anni per riempire dei vuoti non è una misura dell’affetto che le persone importanti della mia vita provano per me. Chi mi vuole bene davvero vuole bene a Elena, non solo alla donna/figlia/amica/biologa/maratoneta che punta a raggiungere il meglio in tutto - semplicemente a Elena, così com’è. Perché gli affetti arricchiscono i pieni, non riempiono i vuoti (concetto non mio questo, ma ne ho fatto tesoro). Mi commuovo per questa Elena qui, che tagliando il traguardo ha capito la potenza del lasciar andare e del vivere appieno il presente. Fermo il GPS e mi accorgo che è arrivato anche un personal best, di ben 13’. Ne sono felice, ma so bene che il “crono” è solo una manciata di numeri: tutto il resto, invece, rimarrà per sempre tatuato nell’anima.
Scritto da
Elena Araldi
Biologa Nutrizionista da Milano
Club: A.S.D. Pfizer Italia Running Team
Allenatore: Julia Jones