Oggi, 17 maggio – Giornata Internazionale contro l’Omobitransfobia – Vale Avalle ha corso. Ma non si è trattato solo di una performance sportiva: sono stati 30 chilometri di resistenza emotiva e fisica, lungo un percorso impervio con 1000 metri di dislivello positivo, culminati in un pianto liberatorio, pieno di significato.
Vale, persona nonbinaria e runner per passione, ha dato vita alla Trans Freedom Run*, un’iniziativa pensata per rompere il silenzio sull’esclusione sistemica delle persone trans* e nonbinarie dallo sport, e per raccogliere fondi a favore del Movimento Identità Trans di Bologna (MIT).
Vale ha corso anche per denunciare che, oggi, l’accesso allo sport non è uguale per tuttə. Le persone trans* e nonbinarie incontrano ostacoli enormi nel praticare sport, anche solo a livello dilettantistico. Le norme, le istituzioni e i regolamenti sportivi sembrano progettati per escludere, non per includere.
Le recenti manovre politiche statunitensi, che mirano a cancellare le identità trans* ed escludere le donne trans* dalle competizioni femminili, ne sono un esempio. Così come le polemiche che hanno travolto atlete come Imane Khelif e Valentina Petrillo durante le Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi 2024.
Oggi Vale ha corso per questo. Per affermare che lo sport deve essere un diritto universale, non un privilegio concesso a pochi. E lo ha fatto con determinazione e fatica, perché la libertà non è mai un punto di partenza, ma un traguardo che si conquista passo dopo passo.
La Trans* Freedom Run non è solo una corsa: è una presa di posizione chiara contro ogni forma di esclusione, è un grido di autodeterminazione, è una testimonianza concreta di resistenza e orgoglio.
Non esistono prove mediche o scientifiche a sostegno dell’esclusione delle persone trans* dallo sport. Quella che viviamo è una discriminazione politica e culturale, e come tale deve essere combattuta.
Vale ha corso per sé, per la sua comunità, per chi non può farlo. E con ogni chilometro ha ricordato a tuttə noi che nessuno deve essere lasciato indietro, soprattutto nello sport, che dovrebbe unire e non dividere.